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Radiografia dell’autorità ecclesiale.
Sesto anello egoisticale: il monopolio del potere.
Monopolii sacramentali: monopolio assolutivo.

Alla comunione meale e creaturale si accompagna sempre
una terza. La chiamo: comunione cosale. Le cose sono
tutti quei beni che sono a disposizione della persona. Sia
quelli del Creatore, assegnati al cosmo in dotazione.
Sia quelli prodotti dall’ingegno umano. È la comunione
più povera: la fa solo la persona, le cose se la lasciano fare,
data la loro insensibilità. Comunione non a due, ma a uno
solo. Vista la loro diversa applicazione, i beni si possono
raccogliere in due gruppi:
. Beni con i quali la persona provvede alle sue necessità
vitali.
. Beni piegati ad esclusivo servizio dell’umana egoisticità.
Vediamo i primi: sono beni aderenti alla persona in modo
così perfetto da doverli chiamare: coadiuvanti necessari
alla vita umana. Gesù fa parola di due: cibo e vestito.
Aggiungere l’abitazione è farli completi. Il cibo per l’alimentazione,
il vestito per la difesa e la decenza.
L’abitazione per la necessaria quiescenza.
*) In rapporto al cibo: dobbiamo dire che alla persona passiva,
non impegnata nel lavoro, come i carcerati di un
tempo, poteva bastare pane e acqua: il minimo che Dio
garantiva per i profeti perseguitati. Alla persona attiva non
possono certo bastare. Una regola saggia se la deve pur dare.
Quale? Si assume solo quel cibo ritenuto necessario per
vivere e per lavorare. Ma l’egoisticità della persona è sempre
in agguato e pronta a fare pressione su due punti deboli:
1) Il piacere del mangiare: sollecitato dal buon appetito e
alimentato dal gusto.
2) Il piacere dell’accumulo carnale (ingrassare).
La pressione è tale da operare con estrema facilità lo sfondamento.
Si passa allora a mangiare non per vivere e lavorare,
ma a vivere per mangiare; visto che il cibo può fornire
uno dei piaceri sensibili più facilmente rinnovabili.
Proprio per la sua facile rinnovabilità, supera sicuramente
quello sessuale, esso pure sensibile. La persona del benessere
percorre tutte le vie del piacere della tavola.
**) In rapporto al vestire: c’è da dire che il vestito ha due
funzioni: la difesa del corpo: esigita da quelle temperature
climatiche che lo possono minacciare. La decenza corporale,
poi: è suggerita dalla compostezza e dalla dignità
morale. Ma anche nel vestire l’egoisticità fa pressione su
due punti deboli: non ci si ferma alla difesa, ma si passa
alla superdifesa.
Quanto poi alla decenza, lo sfondamento è completo.
Siamo ora al nudismo che può suscitare anche ripugnanza,
ma che nei praticanti punta sempre a colpire, a stordire e
a eliminare le resistenza alla provocazione. Siamo ora allo
sfarzo sgargiante per attrarre, conquistare e soggiogare.
Così la persona nel benessere si va immergendo nell’affanno
per il cibo e per il vestito.
L’occupazione lavorativa ci mette in linea con la volontà
di Dio. La preoccupazione ci mette in linea con quella
degli uomini del mondo per i quali ciò che vale è unicamente
il piacerale, da quello della tavola a quello del talamo.
La comunione cibaria e vestiaria è ineliminabile dalla
vita presente. Ma cosa farne della dilatazione egoisticale?
Si impone uno scioglimento sollecito e rigoroso.
Questa assoluzione non è dal sacerdote, ma è legata a quel
potere sacrificale di cui dovrebbe munirsi il cristiano. O
sciogliere liberamente: e allora facciamo vivere il corpo
nel migliore dei modi, e ancor più l’amore.
O subire forzatamente il fermo della morte, e allora ci sentiremo
addosso tutta l’egoisticità di quella comunione.
Una comunione che può essere fatale, come lo fu per il
ricco della parabola: vi si chiama: epulone.
Col suo mangiare lautamente ogni giorno, col suo vestire
di porpora e di bisso, ha conseguito alla sua morte una
sepoltura infernale.

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